Per gli antichi Egizi il colore, individuato con il termine Iwen, era considerato come un elemento fortemente simbolico, tanto da essere comunicativo e pregno di significato quanto l’immagine stessa. In Egitto vi era abbondanza di luoghi da cui estrarre i pigmenti: nel Sinai si trovavano le miniere di rame, le ocre erano invece diffuse in tutta la regione, mentre i sali di sodio utilizzati per sintetizzare il blu egiziano erano presenti in abbondanza nell’oasi di Wadi Natrun.
La tavolozza degli iwen degli Egizi era costituita principalmente da sei colori, quali il bianco, il rosso, il giallo, il blu, il verde e il nero. Miscelando vari pigmenti, si potevano ottenere nuove tonalità, come il rosa ed il viola. Ognuno dei colori principali aveva il suo termine di riferimento e un chiaro significato simbolico.
Gli iwen principali erano:
Il bianco (iwen hedj o khdj) indicava principalmente i concetti di luce, purezza e di sacralità: difatti, sono raffigurati in bianco alcuni degli oggetti che venivano adoperati durante le cerimonie religiose, quali i sandali e le vesti dei sacerdoti. I pigmenti bianchi più utilizzati erano il gesso e il calcare, dato che il territorio Egizio ne fornisce in abbondanza. Tuttavia, gli Egizi adoperavano anche la biacca e più raramente l’huntite.
Il rosso (iwen deshr) aveva per gli Egizi un’accezione ambivalente. Da un lato rappresentava la vittoria e la vita. Durante le celebrazioni, gli Egizi erano soliti tingersi il corpo di rosso e indossare amuleti in corniola, pietra preziosa dal caratteristico colore rosso scuro. Inoltre, era il colore che per antonomasia simboleggiava il dio Rha, il dio del sole infuocato. D’altro canto, poteva indicare il male o il pericolo, in quanto è il colore del fuoco, che può avere un esito distruttivo sulle abitazioni e sulle messi. Sui papiri, i pigmenti rossi venivano utilizzati per indicare i giorni infausti o i nomi di persone o dei pericolosi o nefasti. Nell’iconografia, il malvagio dio Seth, assassino del fratello Osiride, veniva spesso raffigurato con gli occhi e i capelli rossi. Il pigmento rosso maggiormente adoperato era l’ocra rossa; venivano poi utilizzati anche il cinabro, il minio, il realgar e la robbia.
Il giallo (iwen khenet – termine strettamente riferito al giallo ocra) simboleggiava il concetto di indistruttibilità e di eternità. Non a caso, è il colore del sole e dell’oro e gli Egizi erano soliti dipingere con l’oro la pelle degli dei. Nelle raffigurazioni delle tombe egizie, spesso anche il faraone è dipinto in questa tonalità, a testimoniare che anch’egli dopo la morte è diventato il nuovo Osiride, e quindi un nuovo dio. Il pigmento giallo maggiormente adoperato era l’ocra gialla, data la grande disponibilità su tutto il territorio. Inoltre venivano utilizzati l’orpimento, talvolta la jarosite e l’oro, applicato in sottilissime foglie.
Il blu (iwen irtiu o sbedju) simboleggiava il cielo e specialmente l’acqua: più in generale si tendeva ad associarlo al Nilo e alla fecondità derivata dalle sue esondazioni. Inoltre, simboleggiava la vita e la rinascita: non a caso, il dio Amon viene rappresentato con la pelle e il volto blu, dato che per la religione egizia egli era considerato il creatore di tutte le cose, il responsabile del tempo e gli eventi atmosferici. Anche il dio Thot, caratterizzato dal volto di un airone, viene spesso dipinto in blu e, nell’iconografia, tutti gli aironi vengono dipinti nella stessa tonalità. I pigmenti blu maggiormente diffusi erano il lapislazzuli, l’azzurrite, lo smalto e il turchese. Il più noto tuttavia è il blu egiziano, ovvero il primo pigmento di sintesi realizzato nella storia, prodotto utilizzando cuprorivaite, vetro e quarzo.
Il verde (iwen wadhj) rappresentava il colore della crescita e della vita, oltre che della risurrezione. A testimonianza di ciò, il dio Osiride veniva spesso raffigurato con la pelle di colore verde, visto che egli fu prima ucciso dal fratello Seth e poi ritornò in vita grazie alla moglie Iside. È inoltre il colore di altre divinità, come Hator e Wadjet. I pigmenti verdi maggiormente adoperati erano la malachite, il verdigris e il verde egizio, realizzato sinteticamente come il blu egizio. Il verde inoltre veniva ottenuto miscelando il blu egizio con l’orpimento o l’ocra gialla.
Il nero (iwen km) simboleggiava l’Egitto stesso, in quanto ricordava il colore del limo del Nilo: infatti, per indicare la regione, spesso si utilizzava il termine Kemet, ovvero terra nera. Era inoltre collegato ai concetti di rigenerazione e fertilità, ma anche alla notte e al mondo dell’Oltretomba: per questo motivo le divinità connesse a questa accezione venivano dipinte con il nero, come ad esempio il dio sciacallo Anubi, spesso anche chiamato kmj, “il nero”. I pigmenti utilizzati per la realizzazione del nero sono fondamentalmente il nerofumo e il nero di legna, anche se potrebbero essere stati adoperati, anche se in misura minore, il nero d’avorio e la pirolusite, oltre al bitume e alla galena.
Articolo originale di Tiziana Pasciuto
http://www.researcheritage.com/2017/07/iwen-il-culto-del-colore-per-gli-antichi-egizi.html